1 ott 2017

L'irredimibile Palermo

Sono qui, a godere del regalo di un video che mi mostra la vista del golfo e la voce al mio fianco descrive ciò che i nostri occhi vedono, un momento di condivisone inaspettato e gratuito, che lascia sapori buoni e fa brillare i volti...
Aulico ricevuto da Federico II al castello di Maredolce.
Non ci vuole soltanto coraggio, ma fede per affrontare l’impossibile e l'irreversibile. 
Dalla montagna di Gibilrossa si vede tutta Palermo e si capisce bene l'irrimediabilità di ciò che è accaduto negli ultimi cinquantanni e l’impossibilità di riconquistare quel paradiso perduto che per duemilacinquecento anni è stata la Conca d’Oro.
Castello di Maredolce parco della Favara.

Palermo è stata la città italiana più bombardata della Seconda guerra mondiale, eppure l’ammasso informe di cemento che la sommerge ha smembrato questa città-giardino del Mediterraneo più dei bombardamenti. 
Sfigurata e strozzata come Palermo, c’è solo Napoli ed Atene, che dal Partenone offre il volto penoso e deforme di una grande tomba di calcestruzzo.
Millenni di civiltà diverse, ma rispettose di ciò che avevano trovato prima, e persino capaci di accrescerne il valore e la bellezza, sono stati bruciati nell’arco di un brevissimo mezzo secolo, da ruspe furiose e da uomini famelici e indolenti.
La Conca d’Oro di Goethe, dei romani, degli arabi e dei normanni non c’è più, è ridotta alla zona di Ciaculli (nemmeno tanto immacolata già venticinque anni fa, quando la attraversavo per andare a Belmonte, paese originario della tata di mia figlia) e allo spicchio di venticinque ettari di agrumeti della Favara-Maredolce,  una volta era un grande bacino che raccoglieva le acque delle sorgenti, fertilizzava le campagne — miniere d’oro di melograni, gelsomini, anemoni, narcisi, margherite, gigli, palme, aranci, limoni — e che oggi resiste, Dio solo sa come, all’avanzata del cemento che ha divorato ormai l’ottanta per cento della fu Conca d’Oro. 
Un crimine contro l’umanità, come la distruzione dei giganteschi Buddha di Bamiyan da parte dei talebani e delle splendide città assire da parte di questi altri malati di mente dell’Isis, che nei giorni  scorsi, prima basita e poi sfogandomi in un pianto dirotto, ho visto distruggere la mia fantasia e il sentimento di meraviglia provato da ragazza quando Maria (la cugina insegnante di lettere), come nella migliore fiaba orientale mi parlava di Hammurabi,  di Assurbanipal, dello stendardo di Ur, di Nabuccodonosor, di Ninive e dei suoi giardini pensili. 
La più antica civiltà fra il Tigri e l'Eufrate, gli Ittiti, e le testimonianze loro sono andate distrutte come la più grande biblioteca del mondo allora conosciuto.
Amavo tanto il mistero ed ero così curiosa che ancora adesso mi meraviglio di me e di come quei pomeriggi siano scolpiti nella memoria, insieme a nomi, date e alle mie domande assetate di tutto.
Non fecero questo, gli arabi, musulmani, quando sbarcarono in Sicilia. Al contrario, realizzarono una vera «rivoluzione agricola»,fecero tesoro dell’eredità romana, e prima ancora punica e greca, aggiungendole all’universo islamico, ricco di culture scientifiche e tecniche, anch'esso già alimentato dalla scienza cinese e indiana, dagli antichissimi saperi della Mesopotamia e della Persia, dall’esperienza africana, dalla sapienza egizia, dalle scuole agronomiche dell'Andalusia.
Grazie a questa saggezza, nel primo decennio dell’anno Mille, fu possibile realizzare il lago artificiale di Favara-Maredolce e costruire l’omonimo castello che lo ornava, entrambi opera dell’emiro Giafar. E grazie alla stessa saggezza, i normanni di Ruggero II, il primo re di Sicilia, dopo aver sconfitto gli arabi e conquistato Palermo, fecero di quel lago e di quel castello da Mille e una notte il primo nucleo della città-giardino che diventerà poi Palermo.
Il castello di Favara ( fawwara , in arabo, significa sorgente) diventerà uno dei luoghi di «sollazzo» della corte normanna — crocevia di affari, piaceri, scienza, arti e di fervida vita intellettuale grazie alla frequentazione di filosofi e letterati cattolici, ebrei, musulmani —, ma anche uno dei più importanti monumenti della Palermo arabo-normanna, non secondo alla più nota Zisa.
Lo splendore di Favara-Maredolce durerà fino a quando vivrà Federico II di Svevia, nipote di Ruggero II e suo degno epigono. Poi, quando gli aragonesi, nel 1328, donano il castello ai cavalieri teutonici della Magione, che ne fanno un ospedale, comincia il declino che continuerà inarrestabile fino al XX secolo. Si approvarono assurdi piani regolatori che diedero inizio il sacco edilizio "mafioso" di Palermo che vantava una «cura pubblica» che non ci fu, non c’è e chissà se mai ci sarà. Perché oggi come allora — nonostante il restauro del castello e un fitto e bellissimo agrumeto che ha preso il posto del lago — allo scempio e all’aggressione insaziabile del cemento si oppongono,  sempre e soltanto «pochi privati». " Tra costoro, il gruppo di lavoro, coordinato dall’architetto Lina Bellanca, della Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali di Palermo, al quale quest’anno la Fondazione Benetton Studi Ricerche ha assegnato il XXVI premio internazionale «Carlo Scarpa per il giardino». Una scelta coraggiosa, perché la cura dei luoghi, qui, come la intendeva un grande paesaggista e filosofo come Rosario Assunto, siciliano di Caltanissetta, del quale il 28 marzo ricorre il centenario della nascita, ha grandissime probabilità di risultare vana come la fatica di Sisifo" (Corriere della Sera).
Eppure, proprio con la stessa consapevolezza di Sisifo, è una fatica che va fatta. Per ricostruire, se non i luoghi, almeno la speranza che gli uomini e ciò che resta del paesaggio  non vengano travolti definitivamente dall’avanzata delle costruzioni "sgarrupate" che sono arrivate fin sul muro del lago artificiale e persino dentro la corte del castello.
Parlare di paesaggio e di cura dei luoghi tra i quartieri di Brancaccio e Ciaculli, tra la via in cui è stato ammazzato don Pino Puglisi e quella in cui nel 1963 esplose la prima autobomba che fece sette vittime, non è un’occupazione per anime belle che inseguono un’Arcadia che non c’è. 
È invece una battaglia di civiltà, così importante da muovere un sindaco a «licenziare» il suo assessore all’Ambiente senza un perché, o meglio di tre perchè che sono : una nuova inutile tangenziale, altri inutili centri commerciali, e persino un altro cimitero nel verde che resta di Ciaculli.
Parlare di paesaggio e di cura dei luoghi nel disastro urbano di Palermo  ha l’aspetto di qualcosa di irredimibile — è anche l’estremo tentativo di fermare un sacco edilizio che non si è mai fermato. Ieri, per paura della mafia. Oggi, con l’alibi della mafia e la retorica dell’antimafia di professione. Un grande premio come il «Carlo Scarpa» serve. Ma poi serve anche non morire Gattopardi, ucciderlo il Gattopardo, per ritrovare l’anima di quella città-giardino che il geografo al-Idrisi celebrò ne Il libro di Ruggero e di quella Conca d’Oro che Fernand Braudel definì «paradisiaca».
Sono bloccata fino a giorno 11, non vedo l'ora di tornare a Palermo, sperando che ottobre sia generoso di eventi, come quelli di questi giorni, ripubblico il 1.Ottobre.2017


4 commenti:

  1. Ti eleggo miss Treccani !
    Molto, molto interessante. Ciao ciao

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    1. Sorrido, anzi rido. Io mi sento tanto Miss Quatrogatti!
      A presto

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  2. Davvero fa pensare quanto la ingordigia e la poca lungimiranza di pochi uomini abbiano potuto danneggiare e forse irrimediabilmente una città dalla storia millenaria e dalla bellezza esasperante.
    Tentativi di recupero,solo gocce di buona volontà in un mare di desolante disfacimento.Ma serve ancora salvare almeno il ricordo di quanto è stato.La storia può ancora raccontare,certo serve conoscerla,studiarla e saper ascoltare.Nel tuo saggio racconto c'è anche amore .Un abbraccio e a presto sentirci.

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    1. Chicchina, la mia maledetta curiosità, il rispetto del passato e la storia fanno parte della mia indole passionaria e sanguigna, sapessi quanto mi sa di smacco e contentino il premio Benetton, e quanta rabbia mi faccio quando non riesco a fermare i singhiozzi alla vista della distruzione delle testimonianze della nostra civiltà.Mi sento come una bimba che si era affidata, aveva preso rifugio, ed è stata tradita. Tradita la bellezza, la civiltà, la cultura, l'utopia dell'uomo in senso lato, profondamente delusa di tutto, mi consolo immergendomi in una vita attiva e piena di interessi, che reputo oramai inutili e vacui.
      Ultimamente non è un bell'andare ed il cammino per il cammino non mi appaga più. Meno male che c'è questa playlist che mi avvicina ad uno stato onirico.
      A presto un abbraccio

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