19 lug 2017

terre svanite

Questo blog è dedicato alla signora Cerrito.

A MARE

Con il mare sono troppo esigente Questo è un concetto che leggendo le mie cose dovete tenere costantemente presente Io sono stato abituato male e le esperienze di bambino prima e ragazzo poi mi hanno educato il palato in maniera esagerata. Per capirci, la mia arroganza e il mio esagerato snobismo, quello di cui sono accusato un giorno sì e l’altro pure, nei riguardi dell’argomento MARE sono veramente evidenti. Io non mi accontento, non posso. Da bambino ho fatto bagni per lunghissime e interminabili estati sotto l’acropoli di antiche città greche (Selinunte) o su spiagge di 6 chilometri sul canale di Sicilia alle foci del Belice avendo come compagnia 3 o 4 persone in tutto (fatte salve qualche pecora e un paio di cani). Adolescente quando la forza del fisico giovane mi faceva sentire onnipotente ho imparato il rispetto per la magia suprema degli abissi nella acque cristalline delle Egadi. Ho vibrato di una musica che solo il contatto col mare “vero” può regalare. Vorrei portarvi dentro i miei occhi e mostrarvi i fondali di Levanzo o Marettimo, la ghiaia bianca perfettamente visibile e nitida 30 metri sotto la superficie di cala Bianca o il branco di ricciole da 40 chili l’una che solcano maestose il blu delle acque di Linosa, il senso di gioia e di pulizia primordiale che un bagno alla spiaggia dei conigli di Lampedusa restituisce a chi vi si immerge.
No, non posso più accontentarmi: ho visto il sole annegare in uno sciame di oro e le stelle diventare l’unica luce sul velluto della notte ed era Filicudi 30 anni fa, era il sogno, la vita e il richiamo del mare anche di notte aspettando il regalo di un nuovo giorno. Ho tremato di eccitazione a 15 anni uscendo al sole impietoso del Tirreno dopo aver attraversato la prima galleria dello Zingaro quando la riserva naturale non c’era ancora e per 12 chilometri le calette caraibiche, con un’acqua così trasparente da sembrare inesistente, risuonavano soltanto dei sussurri di tre ragazzi… Non riesco ad accontentarmi: guardavo scendere il corpo sensuale della mia ragazza di allora, la vedevo filare sicura verso i 20 metri in apnea nelle acque di Capo Murro di Porco a Siracusa e mi dicevo: è una dea ed io scenderò laggiù con lei per baciarla. I giorni e le notti erano allora il palcoscenico di una giovinezza eterna il cui alito fu così forte da sorreggermi ancora oggi, da permettermi di scriverne così ancora con le lacrime agli occhi. E’ al mare che ho conosciuto che devo la mia vita, al suo scintillio dorato lungo la spiaggia di Vendicari, alla sua eco nel solitario e ventoso arco di sabbia di Capo isola delle Correnti che devo il mio senso del tempo che mal si adatta ai ritmi sciocchi di quest’altra vita. Quel mare, il mare della mia terra non somiglia in nulla ai succedanei che vedo dappertutto attorno a me: stona in modo terribile con ciò che il mare ( anche quello siciliano) è diventato. Non riesco sulle spiagge con migliaia di ombrelloni in fila a leggere la metafisica della terra che abito e, senza di essa, io sono nulla, non esisto. E non scrivo.
Quindi non voglio accontentarmi e mi incammino da solo lungo i 300 e passa chilometri di costa che guardano L’Africa sull’altra sponda: a metà strada circa c’è il bagliore accecante di Balata dei Turchi e, attorno, solo la miseria più antica e silenziosa. Se è questa che volete conoscere, questa quella con cui volete parlare per scoprirne gli immensi tesori, fermatevi dunque. Immergetevi dove l’azzurro si mescola col candore immacolato della roccia e lasciate che sia il mare a raccontarvi, meglio di me, la storia infinita del nostro trascorrere quaggiù.

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