29 dic 2017

Nella lettura ho viaggiato, non solo fino ad altri mondi ma anche nella mia stessa anima.
Alle idi di marzo, così come Cesare si avviò consapevole del pericolo, incredulo ma fiero in cerca della sua personale verifica, anch'io ho ricevuto sillabe la cui lettura, come lame, penetra l'animo per morirci dentro.
Sono sillabe delicate che ricordano quel libro, quello che ti insegna a leggere, e, conoscerne le lettere non vuol dire capire, come conoscere le note di un pentagramma non vuol dire saper leggere la musica.
"Dovrei tenere per me la vita mia
che ho posato su carta come facevo tantissimi anni fa:
chiusa nel segreto dei miei ricordi, non condivisa con nessuno nè santo nè puttana, nè colto nè ignorante.
Solo per me o per un altro da me.
Sinceramente?
Non so che fare, che io pur desiderando in modo spasmodico la condivisione con te riesca solo a farti male e allontanarti mi uccide.
Vorrei lasciare un segno, qualcosa che mi ricordi in modo pulito solo questo;
ho tante cose dentro, tante immagini, tanti sogni...pensavo che giocarci, colorarli,vestirli in modo diverso non mi avrebbe alienato la stima degli altri, al massimo mi avrebbe regalato una sublime indifferenza."

Le idi di marzo, una coincidenza? sono pervenute queste parole, e ho capito da quel giorno il vero significato di "aggrappato al cielo", parole semplici accompagnavano il file "Ho pescato su uno dei miei fogli Word la prima stesura di un lungo articolo che si chiamava"aggrappato al cielo", risale a circa 18 anni fa, lo pubblicai, poi lo frammentai, poi lo riunii, è qui. Solo a te posso inviarlo."


Una stanza segreta, vi si passa davanti guardando sempre altrove:
è una storia iniziata molto tempo prima dell’apertura di questo blog.
Dentro c'è il simulacro dell’illusione
di poter condividere
ma anche la definitiva sconfitta
di un sogno leggero e invidiabile.
Così scrivere, lasciare segni sul vuoto o illudersi di farlo diventa un legame profondo,
irrinunciabile, uno scrivere e pensare da lontano con una vicinanza intellettuale rara. Di me è rimasta soltanto
una sospensione che pare senza fine. Quarant'anni passati a scarabocchiare ovunque, a sprazzi, a volte di corsa
con una foga febbrile,
come se non ci fosse più tempo per nulla. Oppure con lentezza esasperante,
oppresso e confuso da una pletora d'emozioni altrimenti inesprimibili.
Perchè lo faccio?
Per chi lo faccio?
Io non sono sicuro
di conoscere le risposte esatte,
ma sento che scrivere mi allevia,
in parte, la malinconia di vivere,
rende buona o più accettabile la rabbia segreta
che mi stringe da molti anni lo stomaco.
In realtà ciò che scrivo nasce quasi interamente da un processo d'autostima, l'unico che mi sono concesso in tutta la mia vita ed è un caso talmente raro che non intendo sopprimerlo alla nascita.
Ma trent’anni sono tanti,
troppi e troppo vari i luoghi e le lusinghe
con cui essi mi hanno incantato;
eppure se ci fosse anche un solo momento
di consapevolezza,
un solo alito di vento
in cui cogliere la fragranza della vita…scrivere sarebbe servito a qualcosa.
Parlo di me, dell'unica cosa di cui so parlare con onestà, degli occhi che ha incontrato e del tempo trascorso a scrutare gli indizi della verità
accampata dentro ognuno di noi;
parlo della realtà e dei sogni che da essa nascono per farci vivere un altro mondo e altri sogni ancora.
Ci sono strappi evidenti
nel lungo racconto che sto passando sul blog; capisco che al di là delle sensazioni
che può dare la storia
qualcuno potrebbe sentirsi più a proprio agio se non ci fossero salti
temporali così evidenti.
Ma nella mia vita il passato spesso è tornato alla ribalta come presente sotto mentite spoglie,
non è poi così semplice e scontato
dire dove e quando:
non per le emozioni e i sentimenti.
Ma in fondo che importanza può avere? Certe emozioni sono assolutamente senza tempo: ingabbiarle dentro gli anni è spesso un'operazione stupida e crudele.
Spero che i miei figli, a tempo debito, lo comprendano. E' la sola cosa che posso lasciare loro in eredità.
A Palermo ci sono nato,
in Italia ho vissuto e girato,
tra Milano, Genova e Roma;
nell'isola sono sempre passato come ogni emigrante che si rispetti
e le mie estati di ragazzo profumarono di sale e gelsomini,
di mare e assolati latifondi.
La storia che racconto sono io,
tornato a metà degli anni 70 a Palermo definitivamente, crocefisso da un amore infinito nella terra dei miei avi (Trapani), fuggito poi alle falde dell'Etna per incapacità ad accettare un verdetto, schiaffeggiato da un altro amore
nella città di Archimede...
invecchiato ad inseguire un sogno
che non ha tempo.
Il racconto termina circa 5 anni fa e l'ho scritto in due settimane, fra gennaio e febbraio del 2007; fra l'inizio e la fine ci sono molte possibili uscite, molti altri pezzi di vita e molti visi con accenti diversi; per tutti un tempo indefinito.

Leggendo ci si rende conto che la normalità diventa eccezionale quando trascende il tempo e diviene ad un sentire finito in noi tutti.

La crudità e la “nudità”, la bellezza e l’agonia.

E' stato un attimo, un passo, una bomba alle spalle, Viva sono viva da sempre o è un sogno? l'illusione di respirare, di piacere e piacersi... nonostante.
Il senso della perdita è totale Una struggente cascata di situazioni che si avvicendano, da quando credetti di poter dire noi, con una cavalcata di effetti sonori e situazioni di donna, di cittadina che non trova il proprio posto dentro l’organizzata macchina di un sistema, di una vita predestinata, che non lascia spazio alla ricerca,  all'anima perduta nella bellezza e nel mistero della vita. Destino? Due le mie passioni: il lavoro come forma d'arte applicata all'industria,
la dimora.
Non si può tacere. Lo spaesamento è totale, è spiazzante.
Ed anche questo è stato un momento magico, da bel  époque malgrado i segni premonitori fossero all'orizzonte non ho mai voluto turbare la serena atmosfera.
Sono tante, troppe le volte che ho detto ecco, sarà qui che finirò i miei giorni.
Il destino? E' stato fatto a mia insaputa il contratto del vagare, cambiare, anche adesso che non lo desidero più e non ho più forze.

Sono scivolati appena quattro anni, due di questi anno visto due case e tanti viaggi da pendolare, due città pietrose e non in armonia con la mia anima. Ora con un sorriso e tanti complimenti mi si invita a comprare... gli eredi vendono.
"Quanto vogliono?" non è questo che dovevo ascoltare quando oramai avvilita e rassegnata ho informato il mio meraviglioso ometto. Quel contratto fatto chi sa con chi e chi sa quando mi pare non abbia scadenza.
Il mio Matteo


21 dic 2017

PRESEPE.....Ed è sempre Natale

I giorni appena trascorsi sono stati all'insegna di progetti...serenità e dolce pigrizia nello stare in poltrona per tutti gli handmade da finire prima della prossima domenica, giorno di partenza, vado dai miei rami...
Il Natale ci avvicina, ed è occasione per trasmettere tradizioni, sensazioni, emozioni, e per tenere ben salda la memoria, il ricordo...di ciò che siamo..di ciò che eravamo.
La mia mamma
era una donna meravigliosa, bravissima in molte arti femminili e con un pizzico di vena artistica, e ciò faceva si che si cominciasse ai primi di novembre il lavoro di preparazione di quel presepe che era la mia gioia ed il mio orgoglio...
Intanto un mese addietro,  ho inviato a mia figlia
qualche vecchio pastorello e qualche casetta... lei ha la fortuna di avere un marito che ama la casa, le tradizioni
e ogni attimo libero lo passa con  Lulù, ed è con lei, vecchietta di due anni e mezzo, che  ha preparato il presepe.
Io, intanto, in ricordo di quei tempi meravigliosi, in cui forse mancava  l'apparenza del benessere, ma in tutti, vi era la ricchezza di enormi valori, e si misuravano le persone con "l'essere" e non con "l'avere", ho cercato nel web e nel ricordo di amici... l'intero testo della "Ninnaredda" la novena che tre uomini ogni sera dal 15 Dicembre, cantavano e suonavano per le strade e salivano nelle case dove vi era il presepe.
Erano in tre,  un signore con la chitarra, uno col mandolino e l'altro con  "u friscalettu", una specie di clarinetto ricavato a mano con una robusta "canna".
Nel presepe della mia infanzia le montagne erano fatte con le pietre della "ferrovia"... scure e porose, invecchiate da tutto quel carbone usato per mandare avanti le locomotive, mentre nelle sponde dei laghi o nel bordo dei letti del fiume... vi era la pietra pomice, che mia madre si faceva portare da Canneto di Lipari, e il muschio, doveva essere spesso e pieno, sempre verde per tutto il periodo, e quale se non il migliore? quello del bosco della Miraglia?
Stavo ore incantata a guardare gli artigiani, davanti le loro botteghe intenti al lavoro, le lavandaie sul greto a sciacquare i panni, i pianoli delle colline pieni di pecorelle accompagnate da cani e pastori... e mi ricordo ancora galline e piccoli animali domestici nell'aia di case che avevano davanti la porta il famoso gelso esistente in tutte le case coloniche di questa zona della Sicilia, e risuonano ancora le parole di mia madre che diceva... "vedi, quell'altra casa colonica invece è dei luoghi della tua nascita, da noi, non c'è il gelso, ma il carrubbo davanti alle case di campagna".
Da piccola dovevo sembrare abbastanza antipatica, non so se lo sono ancora, ma adesso, vicina al concetto della vacuità delle cose, credo di essere diversa. Allora ero come un pavone,  tutti dicevano che il presepe di mia madre era il più bello, non è che ce ne fossero molti in paese, ma quelli importanti erano circa sei, tutti appartenenti ad amici di famiglia o a parenti.
Il gruppetto abbastanza consistente di amiche e cugine insieme alla "ninnaredda" si spostava di casa in casa, e in queste case, all'arrivo del canto natalizio salivano tutti i vicini... per cantare insieme il ritornello
 E Natali si annunziò,
E Natali si annunziò,
Viniti pasturi ch'è natu u Bambinu
U verbu divinu chi a 'tutti sarvò,
E Natali si annunziò
E Natali si annunziò ....
Da noi c'era il vassoio con i dolcetti per tutti gli abitanti dei vicoli che salivano ad ammirare il presepe, facevano i complimenti a mamma ed assistevano alla novena.
Ero la più piccolina del gruppo, ma mi sentivo la più importante infatti da noi la nimmaredda si fermava due volte, su in casa, e all'ingresso del cancello del giardino della strada principale, dove vi era una edicola votiva al Sacro Cuore di Gesù, eretta dalla mia bisnonna, edicola ora trasferita e "moderna" nella stessa strada e dove allora vi era cancello ed l'antica statua ora vi è una strada.
Ieri, nel parlare con una cugina per chiederle se ricordava il testo della "ninnaredda a Gesù" abbiamo ricordato quelle visite reciproche, quelle sere di canti, ed aneddoti sulle nostre madri, ed io ho confessato l'enorme invidia e la rabbia che ebbi un anno, quando vidi che nel presepe di casa sua il fiume era di acqua che scorreva, e non di specchio come il nostro, vi era un orticello con il grano che aveva germogliato e stava crescendo, e tornai  a casa, chiedendo conto e ragione del perchè dai nostri cugini, l'acqua era vera, ma "sopratutto il grano... il grano... perchè noi non avevamo piantato nulla?" e giù pianti...
Sono passate "ere" da allora ma non credo di dover dire "alla mia epoca", in quanto questa in cui vivo è pur sempre la mia epoca, il mio tempo, e allora rispondo a Potolina,  nel IL NATALE SECONDO ME e dico che è l'abbandono di ogni competizione , perseguire unione, e coltivare le nostre radici, poichè senza di esse i rami non solo non germogliano ma seccano.
Il Natale secondo me è saper godere con gioia di quello che abbiamo, e desiderare sempre più sentimenti e amore.

Avrei tanto da scrivere, ho tante bozze su tanti argomenti, e creato molti oggetti da condividere... ma il Natale si avvicina e con esso si rafforza solitudine e tristezza. A voi auguro nel modo più classico buone feste insieme ai vostri cari...
Io sogno.. e vorrei ritornassero i Natali di quando ero piccola. Di quando c'erano tutti.

Arriverà un altro Natale

10 dic 2017

Ritorno oggi, a riprendere quel filo che si stava spezzando e legarlo alla mia primavera, che scandisce l'anno, e ne anticipa l'inizio non più al plenilunio di settembre, ma ad adesso.

 la magica casa di Roma

Sere fa ho conosciuto un Maestro, basta un nulla per far suonare corde di uno strumento posato da lungo tempo.
Non so il perchè, e non desidero neanche chiedermelo, ma sono andata a cercare un appunto che avevo preso in attesa di aver desiderio di scriverne.
E' un foglio ingiallito dal tempo, appunto su Michelangelo Buonarroti, pittore, scultore, architetto che si dedicò per quasi tutta la vita alla prosa e alla poesia.
Il fatto che molte poesie fossero state scritte dall’artista su fogli che recano disegni o schizzi, fa pensare allo stretto legame che ebbe per Michelangelo l’opera figurativa e quella poetica, come il bisogno di definire, concettualizzare, la realtà,l’arte stessa, attraverso il potere simbolico e rivelatorio della parola.
La sintesi poetica tra arte e poesia, è tutta racchiusa nei suoi versi

photo Strega dalla mia stanza

Nel 2007 abitavo a Roma e all'Aditorium in una magica e calda notte di luglio un artista ha portato in scena musicandoli, i sonetti di Michelangelo, è presente in me l'emozione e l'atmosfera, complice sicuramente la compagnia ed  il tocco di quella giovane mano che non ha abbandonato la mia .... sono stati rappresentati ed anche declamati con indosso una camicia di forza... a dimostrazione dell'impossibilità di muoversi, a dimostrazione dell'annullamento, così come "scrive" Michelangelo, perchè l'amore ti prende, ti inquieta, ti annienta in lui stesso e ti lega con una forza solo a lui stesso sconosciuta.