11 giu 2017

Realtà, foto reale di una realtà oramai irreale.

 Strega Old family Photo
Sono rientrata oramai da un pò di giorni, e mi sto disintossicando .

Debbo riconoscere che, se vado "in società", è solo perché si erano affievoliti i propositi di felice solitudine, e per bisogno "antropologico" : l'uomo è un animale sociale!!

Adesso con i miei lavori, le mie letture, le curiosità ed i "contatti" (sempre a piccole dosi) sto riacquistando l'equilibrio che la società distrugge.

Infatti constato gli interessi, i modi di dire, le valutazioni delle persone con cui vengo a contatto, e ricordo i pensieri, gli insegnamenti, gli esempi avuti in famiglia e sopratutto quelli di mia madre e capisco il perché della mia felice solitudine.

Sono stata educata per una società che non esiste, errore che anche io ho commesso, e sento ancora il rimprovero di chi, giovane e bello, sta a disagio nella realtà di oggi.

E così, nella mia dorata ed adorata solitudine, che chiamerei con orgoglio, isolamento, ricordo e mi convinco sempre più che l'unica cosa che possediamo veramente nel nostro precario presente sono i ricordi, le emozioni, gli aneddoti , e capisco che il vero valore sta nelle cose appartenenti all'astratto, uniche che possediamo, che ci sopravvivono e che nessuno può rubarci.

Così mi rimbombano nelle orecchie frasi del periodo della mia formazione... e come una eco sento:

"Non è elegante parlare di denaro... e si sa che un gentiluomo non è mai un tirchione".

"Bisogna essere naturalmente formali, poichè la forma esagerata stona e la troppa formalità, cade nello snobismo"

"La classe è fatta di compostezza, leggerezza, sobrietà, l'abito non fa il monaco, ma esprime appieno il proprio essere, le proprie esigenze, ed anche la sensibilità al colore, al tempo, e al rispetto di chi incontri. Ma comunque un gentiluomo non può essere un narciso, al di là della norma e non si "identifica" con il suo vestito" .

E mi è venuto in mente un episodio, di quelli che non sai di ricordare, ma che affiorano chi sa da quale remoto angolo di memoria.
Ero ragazzina, nella città di mia madre a casa dei nonni materni, ed ospite vi era una delle mie zie, sorella di mio padre, la quale si trovava a passare dall'ingresso nel momento in cui bussarono alla porta, e le fu naturale aprire.

Si trovò alla presenza di un "signore" con abito di velluto, panciotto, e fucile in spalla, che aveva portato per mio nonno dei frutti della terra ; la zia lo lasciò sulla porta e si premurò ad andare in salotto dove erano gli altri per dire: "Vi è di la un uomo vestito come un "colono", che ha portato della frutta per il Cavaliere, ma non vorrei lasciarlo sull'uscio, il suo "essere" i suoi modi non sono in armonia con il suo vestire"
Infatti nonostante la "mise" aveva perfettamente capito che si trattava di un N.H., la cui presence, modo, distinzione , classe ed eleganza, non si identificavano col vestito.

Ed adesso, in una società da cui mi è congeniale prendere le distanze, anche se profondamente bisognosa di "prossimo", rendendomi conto della pochezza della mia persona in rapporto al metro comune, io che non faccio nulla, che sono padrona del mio tempo, ricordo che esso è un lusso sul quale mi sono stati inculcati dei concetti, e mi rimbombano nelle orecchie parole come : La nobiltà ( quella che sta in interiore hominis ) per atavicità deve gestire la noia ed è educata ed abituata a farlo.

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